Mappa del sito

Capitolo precedente

 

 La saga dei Fanes - Il contesto culturale

Culti e miti

Il ciclo delle leggende dei Fanes ci offre del materiale abbastanza abbondante al riguardo delle loro credenze; parte di questo materiale può essere messo in relazione ai rituali noti per via archeologica, fornendoci dunque dei dati di capitale importanza per la loro corretta interpretazione.

Va osservato innanzi tutto che non si trova nei Fanes un singolo riferimento ad una divinità personificata, né di tipo monoteistico, né politeistico. Tutte le azioni di culto appaiono rivolgersi a delle entità pluralistiche naturali definite “spiriti” (delle acque, dei monti…), ed apparentemente non certo per ingraziarsele e nemmeno forse per ringraziarle, forse perché non sembrano supposte in grado di intervenire soprannaturalmente sul mondo. Semmai, si direbbe che si desideri essenzialmente mantenere con esse un rapporto di armonia e di rispetto, e che si giunga al massimo a rituali volti a garantire che questi spiriti si incarnino nel credente (forma suprema di armonia?), conferendogli tutte le loro facoltà più ambite: pur sempre e soltanto naturali, ma superiori per alcuni versi a quelle umane (parlo ovviamente dei culti della marmotta e dell’avvoltoio, con relativo “scambio dei gemelli”). Non vi è traccia del concetto della religione intesa come “do ut des”, così frequente in quasi tutte le epoche ed in quasi tutte le civiltà, con particolare riferimento a quelle occidentali. Come si concilia questo con gli oggetti di metallo depositati nei laghi, che oggi vengono normalmente interpretati come offerte? Un’ipotesi potrebbe essere che il senso religioso del rito fosse in realtà diverso da quello del sacrificio propiziatorio, che per inconscio condizionamento ci si forma subito nella mente; un’altra, che i Fanes non condividessero affatto questa forma di culto (ed in effetti li vediamo saccheggiare i laghi sacri).
Abbiamo già osservato che non vi è traccia di riti o miti legati all’agricoltura, e nemmeno ai cicli di morte e resurrezione ad essa collegati. Così pure, la leggenda non fa alcun cenno ad una fede in una vita ultraterrena od alla distinzione tra corpo materiale ed anima imperitura; semmai, ad un imprecisato “spirito vitale”, che dopo la morte pare “rifluire” nella natura sotto forma simbolica di fiori o di volatili.
Anche il senso dell’etica, che pure a volte traspare, non sembra avere alcun fondamento soprannaturale, e pare riferirsi unicamente ad una correttezza di comportamento umano (la parola data deve essere mantenuta; la comunità deve venire prima dell’individuo).

Analizziamo adesso i singoli culti incontrati.

- Punti in cui incontriamo riferimenti al culto delle acque:

- le anguane;
- il lago d’argento;
- l’oracolo delle mjanines;
- le jarines;
- il mito di Merisana;
- il lago sacro nei Fiori del Lagorai;

Le anguane appaiono nella leggenda dei Fanes (o più esattamente nel loro "mito delle origini") come donne mortali con delle indiscutibili funzioni sacrali e strettamente legate sia alle acque, in modo particolare ai piccoli laghi, sia al culto del Sole. Non sembra troppo azzardato collegarle al “sacerdozio” del culto delle acque, che anche in epoca più tarda sappiamo essere stato esercitato da donne. La figura dell'anguana viene analizzata con maggior profondità in >approf. >anguane.

Il culto delle acque compare sia nella forma delle “offerte” (il tesoro sul fondo del lago), per la verità almeno apparentemente riguardato come un’usanza del passato, cui non sembra si voglia più attribuire altro valore che quello di “miniera di bronzo”, sia nella forma del lago oracolare, cui ci si rivolge per conoscere il presente e farsi predire il futuro. L’aspetto taumaturgico del culto, importante e forse prevalente nell’età del Ferro, particolarmente a Lagole, non compare affatto, anche se potrebbe trattarsi solo di un caso; a meno che non si voglia riconoscere qualcosa di attinente ad esso nei “nani” che nuotano nel lago d’argento di Elba. In effetti, le acque solforose di Lagole svolgevano davvero un’azione curativa, specialmente sulle ferite, ed hanno un aspetto vagamente lattiginoso. Si osservi ancora come non compaia alcuna divinità delle acque in forma personificata (come per l'appunto la trina Trumusjatis di Lagole), bensì una moltitudine di benevoli “spiriti delle acque”, le jarines, o mjanines, descritte sì in forma umana (femminile) ma con caratteri di “anima della natura”, che ispirano sentimenti di rispetto e di amore molto più che non di timor sacro o di venerazione trascendente.

- Punti in cui incontriamo riferimenti al culto del Sole:

- le marmotte della Croda Rossa;
- il monte Amariana;
- Elba e Soreghina;
- Merisana.

Il culto del Sole, che non è direttamente provato da testimonianze archeologiche, appare strettamente legato a quello delle acque. L’anguana che fa da madre a Moltina saluta il sorgere del Sole, e le marmotte (=i Fanes?) le fanno corona; indicazione che ne condividono il culto e la accreditano come suo ministro. Due miti, collaterali al ciclo dei Fanes e forse ancora più antichi, ripropongono questa relazione fra i due culti. Il mito solare di Elba suggerisce una possibile chiave di lettura dell’accostamento tra il Sole e le acque (il lago come immagine e specchio del cielo? l’unico modo per guardare il Sole? quindi il culto delle acque subordinato a quello del Sole?), che tuttavia in sè potrebbe anche essere solo un miraggio. Un altro forte accostamento è rappresentato dal mito di Merisana, la regina delle “ondine” della val Costeana, il cui nome (=Merijana =Meridiana) è già molto indicativo, la quale si sposa – a mezzogiorno - col “re dei raggi”. Queste “ondine” appaiono qui una forma mista tra anguane e jarines, di cui forse non sono che un’ulteriore variante (cfr. però anche quanto detto sulle anguane).

Di particolare interesse è poi l’ascensione di Ey-de-Net al monte Amariana, che abbiamo tentativamente identificato con l’odierna la cima Ambrizzola (Croda da Lago), direttamente coinvolta nel mito solare di Merisana e posizionata nel posto “giusto” perché Ey-de-Net potesse scalarla in quel particolare frangente. Almeno in parte indipendentemente dalla corretta individuazione della vetta, ci troviamo di fronte ad un nuovo elemento del culto, in quanto il monte scalato dal Duranno non poteva essere una montagna "facile", altrimenti la sua impresa non sarebbe stata neppure annotata: dunque la montagna sacra al culto solare non era fatta per salirvi normalmente a scopo rituale, bensì doveva essere osservata da un luogo particolare (un centro di culto?) in connessione ad una particolare posizione del Sole. Si noti che le “nozze” di Merisana si celebrano allo scoccare del mezzogiorno su una collinetta erbosa “in faccia alla Croda da Lago”. Esse consistono dunque nel passaggio del sole a perpendicolo sulla vetta della montagna? Tuttavia Merisana è una creatura delle acque. Il fenomeno veniva osservato riflesso nelle acque del (lago del) Ru de ras Vergines? E’ questo l’anello che congiunge il culto delle acque con quello del Sole e con quello delle montagne? Va peraltro notato che Ey-de-Net sale sulla montagna per salutarvi il sorgere del sole, una forma cultuale molto più consueta, e documentata anche nella storia di Moltina.

- Punti in cui incontriamo riferimenti ai roghi votivi

- i fuochi accesi da Moltina;
- il rogo acceso da Lujanta quando l’aquila ritorna col futuro Lidsanel.

Sono i soli riferimenti espliciti che vengano fatti ad un rogo, ed il loro carattere votivo è evidente dal contesto. Appare altresì chiaro che il sito del primo falò viene scelto in quanto da esso la Croda Rossa è ben visibile, mentre il secondo è acceso probabilmente ai piedi della sacra Croda Vanna. I roghi votivi sembrano dunque essere stati connessi ad una forma di “culto delle montagne”, che abbiamo forse già visto trasparire parlando del monte Amariana. Sostanzialmente tutti i siti in cui sussistono tracce archeologiche di un rogo votivo si trovano ad essere altamente panoramici ed in vista di cime importanti, anche se nelle Dolomiti è praticamente impossibile trovare un luogo elevato che non sia anche panoramico, e da cui non siano ben visibili le cime di almeno alcune montagne. Si potrebbe persino sospettare che il culto intendesse rivolgersi non tanto alle montagne quanto al cielo stesso; al contrario, però la leggenda di Moltina sembra alludere ad un preciso rituale di adorazione proprio della montagna in quanto tale.
La leggenda dei Fanes non menziona tuttavia esplicitamente in alcun modo la presentazione di offerte, né in relazione ai roghi votivi, né ad alcuna altra forma cultuale.
In una certa relazione coi roghi votivi (in base soprattutto al secondo punto menzionato) sembra poter essere posto inoltre il supposto culto dell’avvoltoio, del quale troviamo traccia unicamente nella leggenda.

- Punti in cui incontriamo riferimenti al culto dell’avvoltoio

- la Croda Vanna;
- il Piz da Peres e Plan de Corones;
- le Bregostene e la Filadressa;
- lo scambio dei gemelli.

Il “culto” dell’avvoltoio è uno degli aspetti rituali più delicati e controversi di tutta la leggenda, sia perché vi vengono fatti solo degli accenni non sempre espliciti, sia perché la sua presenza non è (e ben difficilmente potrebbe essere) suffragata da prove archeologiche, sia perché si ha la sensazione che la sua interpretazione possa avere importanza rilevante per comprendere il vero significato degli sconvolgimenti sociali adombrati dalla leggenda.
L’avvoltoio (variul in ladino) continuò a volteggiare maestoso attorno alle pareti dolomitiche fino a tempi molto recenti. Secondo Wolff, ancora all’inizio del XX secolo il rapace veniva messo in relazione con una debole fiamma bluastra (la flüta) che compariva occasionalmente qua e là sulle pareti del Sass dla Crusc (Croda Vanna). Abbiamo osservato come sia il fuoco fatuo, sia l’interesse degli avvoltoi, si possano mettere in relazione con la casuale presenza di carogne sulle cengie della parete. E’ del tutto ragionevole supporre che già nell’età del Bronzo il fenomeno sia stato osservato con reverente meraviglia, ed è probabile che sia il sito della Dlija dla Santa Crusc, sia Plan de Corones, derivino da questo fenomeno buona parte della loro tradizionale sacralità.
Abbiamo visto al paragrafo precedente come la leggenda fornisca alcuni indizi che il culto dell’avvoltoio fosse legato ai roghi votivi. Non è provato, per quanto almeno in alcuni siti ne sussista il sospetto (e sarebbe stato alquanto logico), che questi roghi abbiano svolto anche la funzione di pire funebri.
Un'interessante ipotesi sul significato originario di questo culto può dunque essere avanzata osservando la figura delle Bregostene, che compaiono nella storia di Albolina. Si tratta di donne che hanno artigli al posto delle mani, ma nonostante questo temibile aspetto sono delle guaritrici esperte, bendisposte nei confronti degli uomini (la trasformazione delle Bregostene in esseri malvagi, documentata in molte leggende fassane riportate dal de Rossi, appare un fenomeno tardo, quasi certamente posteriore alla diffusione del Cristianesimo; vedi anche la leggenda, certamente medioevale, della Filadressa, in cui gli artigli sono esplicitamente artigli d’avvoltoio). Abbiamo quindi proposto che le Bregostene fossero originariamente le sacerdotesse degli antichi riti funebri, ispirati dall’immagine del grande rapace che porta via gli spiriti così come porta via i corpi; le Bregostene sarebbero dunque in qualche modo parallele alle anguane, sacerdotesse delle acque.

Per l’analisi delle forme e dei significati che il culto dell’avvoltoio potrebbe successivamente aver assunto presso i Fanes, incluse le possibili implicazioni del rituale dello “scambio dei gemelli”, su cui la leggenda torna con insistenza, rimandiamo ad >Analisi>Gemellaggi.

A proposito di usanze funebri, è essenziale infine l’accenno al rogo di Dolasilla, che chiarisce come presso i Fanes il rituale standard fosse la cremazione. Più dubbio è l'accenno alla salma della madre di Moltina, che "le marmotte" fanno sparire in un crepaccio del terreno, forse adombrando un arcaico rituale di seppellimento in grotta.

- Punti in cui incontriamo riferimenti al culto della marmotta

- la leggenda di Moltina;
- lo scambio dei gemelli.

Nella saga dei Fanes assume un ruolo centrale il mito della “alleanza con le marmotte” (poi sostituite dagli avvoltoi) associato alla pratica dello “scambio dei gemelli”.
L’alleanza con le marmotte, che può essere senz’altro definita un culto totemistico, era sicuramente associata ad una struttura sociale di tipo matriarcale: il rapporto religioso con l’animale totemico era affidato alla regina ed alle sue figlie femmine, mentre il solo fatto che la regina si scegliesse sempre un marito straniero chiarisce fuor d’ogni dubbio che la trasmissione del potere regale avveniva per linea femminile. Per contro, l’alleanza con gli avvoltoi (un rapace al posto di un timido erbivoro), che si dice essere stata propugnata dall’ultimo re in connessione con i suoi figli maschi, lascerebbe intendere non solo l’avvento di una politica estera aggressiva, fondata sulla rapina, ma anche all’interno il tentativo di porre fine all’antico matriarcato instaurando al suo posto un regime di stampo patriarcale. Tutto ciò è stato abbondantemente discusso in >Analisi >Gemellaggi e >Approf.>Il destino della Lujanta.

Motivi del genere sono abbastanza frequenti nell’etnologia, ma c’è qualcosa di simile nell’Europa antica? C’è, e molto più vicino di quanto a prima vista non si possa pensare. Il mito della fondazione di Roma da parte di Romolo e Remo ha in comune con quello dei Fanes praticamente tutte le strutture di fondo, mentre le differenze esteriori sono così marcate da poter far escludere che si tratti di un riporto culturale di epoca successiva.

 

Capitolo precedente