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La saga dei Fanes - approfondimenti

I salvani

 

Abbiamo incontrato Silvani e Salvarie in diversi punti della leggenda. Rivediamo come la leggenda dei Fanes ce li presenti (tenendo conto che qui Wolff intende sempre Silvani, sia quando dice nani, sia quando dice Salvans, se maschi, e Salvare, o Salvarie, o Salvarghes, se femmine:

- vengono incontrati un po' dappertutto; all'interno del ciclo dei Fanes, soltanto in val Badia ed in val di Fassa (n.b.: due valli che nella leggenda dei Fanes, Silvani a parte, appaiono spopolate, ma in entrambe le quali sono noti resti archeologici a partire dal Bronzo medio e recente);
- vivono nei boschi e tra le rocce, isolati o a piccoli gruppi, e tendono a schivare gli altri uomini;
- hanno un atteggiamento benevolo nei confronti dei Fanes e - in modo particolare - di Ey-de-Net;
- le loro donne sono dedite all’attività di raccolta dei frutti di bosco;
- professano il culto delle acque;
- sono in rapporti stretti ed amichevoli con le anguane;
- alcuni di essi sono esperti minatori e fonditori e lavorano "nel cavo della montagna".

Conviene anche qui allargare per un attimo il discorso, come abbiamo fatto con le anguane, e considerare cosa si dica di loro nell'intero corpus delle leggende dolomitiche raccolte da Wolff e de Rossi:

- I Silvani vivevano molto miseramente, in gruppi familiari da 6 a 10 persone (KFW, i selvaggi del Latemar);
- Migrarono dai paesi dell'est e si accontentarono di vivere nelle selve (KFW, I monti pallidi);
- I Silvani abitavano le valli, ma furono cacciati sui monti dall'avanzata degli uomini (KFW, La salvaria);
- I nani del ferro erano i signori del paese, ma vennero cacciati dagli uomini nelle caverne (KFW, la Delibana);
- Ad est del Pelmo si trova un "cimitero dei pagani"; il relativo abitato si trovava presso il "lago delle cipolle" (KFW, L'Antelao e la Samblana);
- Sono "nani" minatori come nelle favole tedesche (KFW, Il Rosengarten);
- Un vecchio saggio guarda il futuro in un cristallo di rocca (KFW, L'usignolo del Sassolungo);
- I nani accumulano ricchezze nel bosco e nelle caverne (KFW, la moglie dell'Arimanno);
- Un omino magro magro alto due palmi e con una lunga barba, pronuncia maledizioni (KFW, la moglie dell'Arimanno);
- Le Salvarie raccolgono fragole (KFW, La salvaria);
- La Salvaria sposa un uomo ed è una buona madre, ma è costretta a sparire quando viene pronunciato il suo nome (KFW, La salvaria);
- Un nano del monte Latemar dona a Cadina una collana magica (KFW, Cadina);
- I nani ammirano una tela; dopo aver preso i vestiti non possono più tornare (KFW, Il genio del torrente);
- Il selvaggio faceva in origine il fabbro (KFW, il selvaggio di Pontives);
- I nani fanno i metalmeccanici ed i giardinieri (KFW, Le rose del ricordo);
- Un mugnaio vendeva farina ai selvaggi del Latemar, che lo pagavano in oro (KFW, Il fantasma del torrente Dopenyole);
- Il selvaggio viene liberato donandogli un abito (KFW, il selvaggio di Pontives);
- Un salvano vuole un vestito rosso e fa scaturire delle sorgenti (KFW, Il canto fatale);
- Un salvano dona a Donna Dindia lo specchio magico (e malefico) che ha ripescato dal Lago Verde (KFW, donna Dindia);
- Un nano ha bisogno di una scure e la ottiene perchè ne sa una più del diavolo (KFW, Seelaus);
- I nani regalano una padella magica che si riempie da sola, ma quando vengono offesi se la riportano via (KFW, la padella);
- Il salvano è il marito della bregostana; attribuisce premi o punizioni a seconda del comportamento più o meno educato (HdR, Il salvan e la figliastra);
- Il salvano è tutto coperto di peli, con grande barba e vestito di vegetali. Dice cose di poco senso ed accetta regali (HdR, A proposito del salvan).

Si può, anzi si deve obiettare che gli “uomini selvatici” sono una tradizione di mezza Europa, se non di tutta, e che se ne possono ritrovare le tracce su un’area molto più estesa di quella interessata dalle migrazioni retiche (io stesso, pur senza aver svolto alcuna ricerca specifica, mi sono imbattuto in numerosi indizi inequivocabili della loro “presenza”, sostanzialmente per puro caso, dalla Slovenia all’Angiò, dalla Valtellina alle Alpi Apuane). Gli “uomini selvatici” sono normalmente descritti come uomini molto pelosi, irascibili ma sostanzialmente benevoli, che vivono schivi e solitari nelle selve, ma che insegnarono all’uomo a fare i formaggi e forse anche parecchie altre cose.
Non mi sento preparato a discutere a fondo in questa sede sull’origine delle leggende attorno agli “uomini selvatici” nel caso generale europeo. Mi limiterò a qualche osservazione.

Possiamo innanzi tutto distinguere, con Palmieri (Le antiche voci dei Monti Pallidi), la figura del Salvano propriamente detto da quella dell'Om salvarek o Om dal bosk. Il secondo appare più strettamente legato al mondo vegetale, forse un'incarnazione degli spiriti del bosco, forse un uomo-albero, tutto ricoperto di fronde (rigorosamente di licopodio nell'iconografia di Rivamonte Agordino). Anche de Rossi (Mortoi e segnai, in Mondo Ladino, 1985 n.3-4) elenca separatamente salvan e om dal bosk.

Tornando al Silvano in senso stretto, quando può essere successo che i popoli dominanti (in tutta Europa!) ignorassero l’arte casearia o l’agricoltura, al punto di dover ricorrere a coloro che avevano appena finito di scacciare nei boschi per farsele insegnare? A rigore, mai. In senso lato, tuttavia, può essersi ripetuta molte volte la situazione che tribù di invasori più o meno “barbari” abbiano potuto o dovuto apprendere delle importanti nozioni culturali dai sopravvissuti delle popolazioni che avevano appena cacciato o soggiogato o semidistrutto. Naturalmente il fenomeno della cacciata nei boschi della popolazione aborigena ad opera di invasori deve essersi certamente ripetuto più volte anche nei medesimi luoghi nel corso della preistoria e nella storia, ed è plausibile che i ricordi di più episodi consimili, a distanza di secoli, si siano sovrapposti l’un l’altro come successive mani di vernice, pur conservando come in trasparenza i tratti distintivi fondamentali di quello più antico. Questo reiterato rinfrescarsi del ricordo potrebbe contribuire a spiegare il persistere della tradizione su un arco di tempo così lungo. Né si può dimenticare che ancora oggi qualcuno “vede” uomini selvatici sulle montagne: si pensi agli yeti himalayani od ai sasquatch delle Montagne Rocciose. Il fenomeno sembra dunque profondamente radicato nell’inconscio stesso del cervello umano. Va inoltre sottolineato come la caratteristica più pregnante degli uomini selvatici europei, ossia il loro trasmettere all’uomo nozioni culturali essenziali per la sopravvivenza, venga interpretata dagli antropologi in una prospettiva sostanzialmente mitologica e simbolica (Kindl, Centini). Pur accettando senza difficoltà concettuali il valore di questa chiave di lettura, mi sembra troppo azzardato affermare che le leggende sugli uomini selvatici, così universalmente diffuse in popoli etnicamente e culturalmente assai diversi, costituiscano un mero esempio di autosuggestione collettiva e non scaturiscano almeno in parte dalla rielaborazione di un nucleo di reiterati episodi reali.
Analizzando poi le leggende raccolte da Wolff, ricordando che il medesimo Autore proclama a chiare lettere ne I monti pallidi che i suoi “nani” devono considerarsi “Salvans” a pieno titolo, osserviamo che, mentre la connotazione culturale tipica loro attribuita è quella dei cacciatori-raccoglitori, e vi sono alcuni passi che attestano la loro speciale abilità nella raccolta dei frutti spontanei del bosco, al contrario non si può trovare nelle suddette leggende un solo riferimento genuino che li colleghi al possesso di nozioni sull’agricoltura e nemmeno sulla pastorizia; sorprendentemente, invece, non pochi brani li correlano strettamente al mondo delle miniere ed alla pratica dell’arte del fabbro.

Osserviamo ora che in val di Fassa (dove però non compare mai la salvaria) il salvan viene presentato a volte come marito della vivana, a volte della bregostana (o bregostena), per quanto quest'ultima a volte si accompagni ad un bregostan o bregostegn. Appare dunque probabile che, almeno in questa valle si sia fatta parecchia confusione tra figure leggendarie che originariamente dovevano essere distinte.
Sembra invece possibile fare un po' d'ordine in questo modo:

- le anguane dovrebbero essere state in origine, come abbiamo già visto, le sacerdotesse di un culto animistico delle acque (e del Sole, e delle montagne);
- ci si può spingere ad ipotizzare che le anguane normalmente non prendessero marito ("del vivano si sa poco o nulla", de Rossi); tuttavia, se lo desideravano, potevano scegliersi un compagno ed avere dei figli da lui; era peraltro un legame solo temporaneo, e prima o poi tornavano alla loro condizione di "single", a volte senza un perchè, o almeno un perchè che l'uomo potesse capire;
- è probabile che anche il culto dei "roghi votivi", probabilmente connesso in modo stretto col culto dei morti (e dell'avvoltoio?) sia stato amministrato da sacerdotesse; non è assurda l'ipotesi (però tutta da dimostrare) che la figura della bregostana, inizialmente molto simile all'anguana, sia derivata parallelamente proprio da queste;
- più volte dovette ripetersi, nelle Dolomiti e fuori di esse, l'episodio di un popolo guerriero e "barbaro" che si installa in un territorio a spese di una pacifica razza aborigena. E' del tutto plausibile che i superstiti di quest'ultima si siano rifugiati "tra le rocce e nelle foreste". Le leggende lo riportano in più occasioni. E' anche possibile che, nel tempo, in molti casi possano persino aver tramandato ai loro successori delle importanti nozioni culturali;
- in quest'ottica non è neppure impossibile che una stirpe di minatori e fabbri abbia continuato ad esercitare le sue arti, con l'interessato beneplacito degli invasori, anche dopo essere stata ridotta allo stato di salvans. Si può peraltro osservare che i minatori dell'età del Bronzo dovevano avere un aspetto piuttosto "selvaggio" anche prima di essere "scacciati a vivere tra le rocce"!
- non è chiaro fino a che periodo si siano potuti incontrare fisicamente "anguane" e "salvani" nei boschi delle Dolomiti. Certamente fino all'arrivo dei Romani, ma forse anche più tardi, sia pure sempre più sporadicamente. Alcune leggende fanno riferimento ad incontri casuali che non sembrano affatto un puro parto di fantasia (p.es., "la vivana scacciata" di de Rossi). Tuttavia è molto probabile che, nel tempo, silvani, anguane e bregostane siano stati mischiati e confusi, rendendoli in certo modo intercambiabili, ed al tempo stesso archetipizzandoli. Allo stesso tempo, l'immagine della ministra del culto ha cominciato a sovrapporsi a quella dell'oggetto del suo culto, e quindi le sono stati applicati parte degli attributi superumani di quest'ultimo. Di qui, probabilmente, la molteplicità di sfaccettature anche contraddittorie di cui essa è stata caricata. L'avanzata della cristianizzazione ha pesantemente contribuito a relegare via via nella sfera del mito (della "verità immaginaria", per dirla con U.Kindl) tutte queste figure di un passato ormai in larga misura frainteso, tra l'altro forzandole in un'ambiguità angelico-diabolica che non doveva essere affatto loro propria in origine.