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 La saga dei Fanes: mito, storia e fantasia

 

Abbiamo visto che la leggenda dei Fanes contiene bensì dei temi che rimandano con certezza ad una base mitologica ormai quasi completamente perduta, ma anche spunti che al contrario fanno sospettare l’esistenza di una radice “storica” alla base della narrazione; tutti questi elementi si fondono e si mescolano nel racconto di una complessa vicenda carica di valenze emotive, che ci viene presentata come se fosse realmente accaduta. Nei capitoli precedenti abbiamo sintetizzato lo scenario ambientale e culturale in cui i dati fornitici (spesso inavvertitamente) dalla leggenda, depurati dalle varie contaminazioni subite nel corso del tempo, collocano i Fanes e gli eventi che su di essi ci sono stati tramandati: abbiamo verificato che questo scenario è coerente, è plausibile, e coincide molto bene con una precisa situazione storica, alla quale può quindi essere riferito. Ci è dunque lecito concludere con buona certezza che la leggenda dei Fanes racconta delle vicende (reali o meno) ambientate nelle Dolomiti centrali; e che queste vicende, se avvennero, avvennero a cavallo tra il termine dell’età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro. E a questo punto, al termine del nostro faticoso processo di analisi, siamo ricondotti a cercare una risposta a quella famigerata domanda che nessuno può evitare di porsi: ma sarà poi successo davvero?

E’ evidente che, mentre l’ambientazione della leggenda può essere suffragata da una serie di riscontri, sia pure indiretti, al contrario possediamo ben pochi elementi concreti a supporto della parziale o totale veridicità delle vicende narrate. Dai dati storici ed archeologici sappiamo che le Dolomiti furono abitate nel corso dell’età del Bronzo da popoli definibili (un po’ abusivamente) come autoctoni; sappiamo che nel Bronzo finale ebbe luogo nel Nordest italiano la diffusione della cultura Paleoveneta, che venne ad interessare anche le valli dolomitiche meridionali; sappiamo infine che tra Bronzo finale e primo Ferro dovettero insediarsi nelle Alpi quelle popolazioni che chiamiamo Retiche, e presumiamo che nelle Dolomiti tale insediamento non sia stato pacifico, perché in quel periodo si ebbero la distruzione dei villaggi preesistenti ed una lunga fase di povertà e di spopolamento. E sostanzialmente questo è tutto.
Può collocarsi su questo sfondo la storia di una piccola, antiquata tribù di montanari che vivono di pastorizia e di rapine e rimangono schiacciati nella morsa di popoli nuovi, più forti, più ricchi e più acculturati di loro? Evidentemente può, anzi vi si adatta benissimo. Nelle sue linee generali, il nocciolo della leggenda dei Fanes è quindi non solo del tutto plausibile, ma persino quasi inevitabile. Più di così, in un contesto rigoroso, non è peraltro possibile spingersi ad affermare.

E’ opportuno affrontare a questo punto il problema dell’eventuale radice storica della leggenda dei Fanes anche da un punto di vista filologico, chiedendoci innanzi tutto per quali ragioni, o a quale scopo, essa sarebbe potuta essere composta e tramandata fino ai giorni nostri, se gli eventi che vi sono narrati fossero stati puramente immaginari.
L’ipotesi che si tratti in blocco di un puro e semplice “mito delle origini” è facilmente smentita dal fatto che è incentrata sulla cronaca della disfatta e della scomparsa di un popolo, non certo della sua fondazione. Così pure non si tratta soltanto del mito di un regno favoloso del “bel tempo andato”: anche questa componente è certamente presente nel racconto che ci è pervenuto, ma pare giustificato affermare che si sia insinuata nella storia originale soltanto in tempi più recenti, idealizzando come un possente reame, fiorito in un’imprecisata età dell’oro, quella che nella realtà fu soltanto una piccola e fiera tribù di pastori dolomitici ben localizzata nel Bronzo finale.
In genere si può affermare che, per quanto la saga dei Fanes incorpori brani riconducibili con buona evidenza a miti più antichi, e per quanto possa esservi stata in epoche successive una tendenza a farla diventare un mito, le manca il carattere fondamentale perché si possa affermare che essa sia nata come un mito: il mito è infatti essenzialmente un momento esplicativo dei vari perché dell’esistenza, a livello tanto personale quanto sociale, una fonte di certezze, un punto di riferimento concettuale cui si ancora l’intera struttura culturale di una collettività.
Mito è quello di Merisana, che “spiega” i concetti basilari della religione delle anguane e rende conto della felicità e dell’infelicità degli uomini; miti sono quello di Romolo e Remo e quello di Moltina, che ammantano di sacralità l’umile fondazione dello Stato rispettivamente romano e dei Fanes; miti sono [almeno parte delle] fantasiose costruzioni greche, anche quando tendono a ricondurre le caotiche vicende della vita alle bizzarrie di questo o quel dio; ma quali certezze, quali punti fermi potevano essere tratti dal racconto della grandezza, del tradimento e della disfatta dei Fanes? No, la ragion d’essere della leggenda deve essere stata diversa.
Potremmo allora asserire che si tratti di un poema composto a glorificazione degli antenati: anche questa componente è certamente rintracciabile nella saga, ed è probabilmente una delle ragioni per cui la leggenda fu tramandata: se tuttavia fosse un testo arbitrariamente composto a questo fine, ci si dovrebbero ragionevolmente aspettare molte più luci e meno ombre, e soprattutto un finale assai meno amaro e malinconico; si narrerebbero poi certamente le gesta dei progenitori diretti dei narratori medesimi, e non quelle di un’estinta popolazione di predecessori, i cui superstiti tutt’al più potrebbero aver fornito loro solo un marginale apporto di sangue.
Infine, si potrebbe sostenere che la saga dei Fanes sia in linea di massima un’opera letteraria di fantasia, composta soprattutto per il divertimento degli uditori, oltre che (parzialmente ed in diversa misura) per ciascuna delle ragioni elencate più sopra. Tuttavia, per quanto nella nostra leggenda non manchino elementi che potrebbero facilmente essere stati in larga parte ben architettati, vi sono anche numerosi temi od episodi fondamentali in cui gli stessi narratori annaspano visibilmente, dimostrando con ciò di non conoscerli o padroneggiarli fino in fondo: al punto da rendere incredibile che l’intero svolgimento della storia sia stato da essi costruito ad arte e non piuttosto faticosamente ricostruito. Ed è paradossalmente questa l’argomentazione filologica più probante a favore di una almeno parziale radice storica della saga. Ricordiamo quali sono i passi più significativi che inducono a dubitare dell’ipotesi di un’origine totalmente artefatta del testo leggendario:

- la Tsicuta: da quello che viene detto e non detto di questa donna e dei suoi trascorsi col re dei Fanes si potrebbe trarre lo spunto per creare un grande personaggio drammatico. Invece l’occasione viene completamente sprecata. Non sembra dunque affatto un personaggio inventato a fini letterari, bensì una figura reale dai contorni imbarazzanti per il narratore, il quale non può ignorarla ma la ammanta nel mito per celare, non certo per raccontare la sua vera vicenda;
- la costruzione dello scudo: se l’episodio fosse stato inventato di sana pianta, non sarebbe stato poi molto difficile organizzarlo in modo del tutto lineare e razionale (sarebbe bastato affermare che il re dei Fanes se lo faceva costruire e che poi l’erculeo Ey-de-Net si presentava come candidato a portarlo). Invece viene orchestrato il papocchio dei fabbri che costruiscono un unico scudo per soddisfare due diverse ordinazioni. Perché? A mio modo di vedere, la spiegazione più logica è che l’episodio non sia stato affatto inventato, ma ricostruito dai narratori sulla base di testimonianze frammentarie cui mancava un elemento fondamentale, ossia l’accordo preventivo tra il re ed Ey-de-Net, che per ovvie ragioni era rimasto segreto;
- la coalizione dei Paleoveneti: l’elencazione dei molti popoli che si alleano per distruggere i Fanes può essere letta superficialmente solo alla luce della volontà di esaltare il valore guerriero degli sconfitti attraverso il numero dei loro nemici, i cui nomi sembrano buttati a caso. Ma, se si colloca la vicenda nella sua corretta epoca ed ambientazione storica, si comprende invece che la coalizione non era affatto casuale, e che quindi il narratore descrive dalla sua prospettiva locale, molto angusta e distorta, degli eventi del cui vero significato politico semplicemente non aveva capito nulla;
- la fine del re: abbiamo osservato che la trasformazione del re in pietra non è che un espediente narrativo medioevale; pertanto della storia originale non resta niente a dirci cosa sia successo del re prima, durante e dopo la battaglia del Pralongià. Se la leggenda non fosse stata dunque che un’opera letteraria, possibile che una parte così importante e drammatica del finale sia stata così olimpicamente trascurata dal suo artefice? Ancora una volta, tutto lascia credere che il narratore si sia invece trovato in grande imbarazzo di fronte ad eventi reali di cui non era sopravvissuto alcun testimone diretto (o forse di cui nessuno voleva parlare) e perciò sia stato sostanzialmente obbligato ad eludere l’argomento.

Dunque l’ipotesi che la leggenda dei Fanes sia stata totalmente concepita dalla fantasia di uno o più narratori non sembra reggere all’analisi: non resta che ammettere di conseguenza che, almeno nelle sue linee generali, abbia preso spunto da un nucleo di eventi realmente accaduti. E’ ovvio d’altronde che, quanto più si entra nel particolare delle vicende narrate, tanto più è azzardato asserire che un dato accadimento specifico si sia verificato di fatto ed in quello specifico modo. Per scegliere l’esempio più appariscente, non vi è assolutamente nulla a dimostrare che il personaggio di Dolasilla non sia stato pesantemente arricchito, se non inventato di sana pianta, per rendere più avvincente la narrazione; o meglio ancora che non sia stato, del tutto od in parte, innestato artificiosamente nella storia dei Fanes paracadutandolo da un altro racconto: a sua volta frutto di fantasia, o magari anche basato su una radice di episodi “reali” ma di epoca e ambientazione completamente diverse.
Se infatti un regno dei Fanes vi fu, un ultimo re ed un'ultima regina devono ragionevolmente essere esistiti, e così pure un’ultima “principessa ereditaria”; il suo conflitto con un fratello che mirava invece ad instaurare la patrilinearità nella successione al trono appare abbastanza scontato. Ma la figura della bellissima ed abilissima principessa arciera, pur non inammissibile (fatta un po’ di tara) nemmeno nel suo contesto tradizionale, potrebbe ancor più plausibilmente risultare dalla commistione con altre leggende, forse tramite l’importazione di elementi alloctoni (le Amazzoni, la Samovila balcanica, la stessa Artemide…) che potrebbe essersi verificata ancora in epoca preromana. E se questo è vero per la protagonista medesima, è vero quasi per ogni altro singolo personaggio od evento che compare nella leggenda. Va detto peraltro che ben difficilmente dei trapianti troppo arditi potrebbero evitar di introdurre delle discordanze “di contesto” riconoscibili come tali. Solo ricerche filologiche molto più approfondite e competenti della presente potrebbero contribuire a far piena luce su questi “dettagli”: ma probabilmente il materiale indispensabile per condurre analiticamente un tale approfondimento si è ormai dissolto per sempre nelle tenebre del tempo.

Possiamo dunque concludere che, verosimilmente, la saga dei Fanes è basata sulla rielaborazione di una vicenda storica verificatasi alla fine dell’età del Bronzo, cui però si sono intrecciati quasi fin dall’inizio tanto (certamente) spunti tratti da una mitologia preesistente, quanto (molto probabilmente) anche componenti narrative fantastiche introdotte a scopo vuoi estetico, vuoi elogiativo.