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La saga dei Fanes - Le vicende narrate

La fine del regno

 

Da qui in avanti la nostra ricostruzione dei “fatti” deve giocoforza allontanarsi dal costituire una semplice reinterpretazione di quanto riferito dalla leggenda, perché risulta ovvio che gli stessi narratori non riuscivano più a tracciarne gli avvenimenti in maniera coerente ed esaustiva. Mentre da una parte una tale circostanza induce a ritenere probabile che le vicende narrate non costituiscano affatto un mero parto della fantasia, dall’altra essa costringe ad escogitare (in modo largamente arbitrario) uno svolgimento degli avvenimenti che possieda in sé un senso logico credibile ed al tempo stesso consenta di giustificare le varie e spesso contraddittorie affermazioni che ci vengono riferite in proposito. Si ricordi, tra l’altro, che di questa parte della leggenda sussistono più lezioni differenti: ulteriore indizio che si possa trattare della ricostruzione dei medesimi avvenimenti ad opera di testimoni diversi e diversamente informati.

A questo punto tuttavia dovette succedere qualcosa, forse una nuova pesante incursione di guerrieri Fanes ribelli, tale da suscitare una seria preoccupazione nelle tribù alleate ai Paleoveneti. Ormai decise a farla finita una volta per sempre, si recarono fin nelle lontane città di pianura, cuore politico degli insediamenti paleoveneti, per reclamare che i Fanes venissero esemplarmente puniti. Forse lo stesso Spina-de-Mul ebbe un ruolo anche in questa missione. In ogni modo, le autorità centrali della confederazione paleoveneta dovettero ordinare che venisse radunato un grande esercito, sotto il comando di un generale di provate capacità. A tutti gli insediamenti della zona fu ingiunto di contribuire con un contingente di truppe.
Il re dei Caiutes, accusato di una politica eccessivamente attendista e di non aver protetto adeguatamente i suoi alleati, espose le sue ragioni e riuscì a far sì che ai Fanes venisse proposta un’ultima alternativa alla distruzione: se avessero accettato di porsi sotto il protettorato paleoveneto, rinunciando per sempre a vivere di rapine, sarebbero state date loro in concessione delle importanti miniere ed insegnata l’arte della metallurgia, il che avrebbe potuto renderli un popolo ricco anche senza far ricorso alle scorrerie a danno dei vicini.
Il re dei Fanes, ricevuto l’ultimatum, fu ovviamente prontissimo ad accettarlo.
Quando però ne parlò ai suoi guerrieri, la proposta provocò la sommossa che da tempo si paventava. Nessuno di loro poteva credere all’esistenza di un esercito in grado di sconfiggerli. Nessuno voleva piegarsi ad un giogo straniero. Nessuno aveva intenzione di rinunciare alla vita allegra da predone per mettersi a fare il minatore. Il re fu accusato di aver tradito il suo popolo; e per convincere la regina qualcuno tirò fuori anche la storia dell’amante Caiute. Nella notte, il re fu silenziosamente eliminato, e nessuno seppe mai che fine avesse fatto. Ey-de-Net riuscì a mettersi in salvo per un soffio, e si recò dove era d’accordo che la fidanzata lo raggiungesse in caso di disordini.
Dolasilla però non potè liberarsi facilmente dall’assedio dei guerrieri che esigevano che lei riprendesse le armi e li guidasse in battaglia al posto del padre. Quando vi riuscì, solo dopo esser stata costretta ad acconsentire, e raggiunse finalmente il luogo fissato per l’incontro, era troppo tardi: Ey-de-Net, ormai convinto che lei non sarebbe più venuta all’appuntamento, perché preferiva sfidare la sorte e restare tra i Fanes da regina, piuttosto che affrontare assieme a lui un dubbio ed oscuro destino, se ne era già andato per non tornare mai più. Alla ragazza non rimaneva che combattere, per vincere o per morire: lo strapotente esercito nemico era ormai accampato sui confini.
Sembra che prima della battaglia vi sia stato ancora un tentativo di parlamentare, e che i Paleoveneti abbiano offerto ai Fanes alcuni territori in cambio della rinunzia alla loro politica aggressiva: ma a loro, delle terre diverse dai loro pascoli d’alta quota non interessavano affatto.
I Fanes affrontarono l’ormai inevitabile battaglia privi di una vera direzione strategica. Pare che abbiano attaccato di notte, riuscendo a conseguire con la sorpresa e con l’impeto un importante successo iniziale. Poi però spuntò il giorno. Dolasilla, che aveva indossato la sua vecchia corazza ormai arrugginita, li guidò ancora nel loro tradizionale, travolgente assalto, ma il nemico li sovrastava per numero, per armamento e per esperienza. Il comandante nemico aveva organizzato un reparto di arcieri: non appena ci fu luce sufficiente per tirare, questi fecero strage nelle file dei Fanes, ed infine anche Dolasilla stessa cadde sotto le loro frecce. I Fanes, col morale a pezzi come può capitare solo a chi si ritiene invincibile e d’un tratto si vede vinto, furono messi in una rotta senza rimedio.
La robusta rocca sulle Cunturines accolse i pochi superstiti, ma fu presto chiaro che occorreva evacuare in fretta anche quel caposaldo, divenuto ormai intenibile. Fu la regina a ricordare come i Fanes fossero sempre riusciti a cavarsela ai vecchi tempi, anche contro dei nemici molto più potenti di loro: nascondendosi nelle cavità della montagna, come fanno le marmotte; quel simbolo – il suo simbolo – che non avrebbero mai dovuto abbandonare.
Solo pochissimi dei Fanes riuscirono tuttavia a scamparla. Il nemico dilagava sugli altopiani mettendo ogni cosa a ferro e fuoco, ed accerchiò infine la gran parte dei superstiti. L'ultima, feroce battaglia si risolse con un massacro generale, donne e bambini compresi.

Ai Paleoveneti, gente di pianura, l’altopiano dei Fanes non interessava affatto. Anzichè occuparlo, compiuta la strage, si ritirarono e non vi tornarono mai più. L’esiguo gruppetto dei Fanes che erano riusciti a sopravvivere coltivò per un certo tempo la speranza di riuscire a ricostituire il regno in tutta la sua passata grandezza, che si accresceva nel ricordo ad ogni generazione che ne raccontava ai propri nipoti. Tuttavia gli inverni diventavano ogni anno più freddi, ed alla fine si rese necessario trasferirsi giù nelle valli, mescolandosi con i contadini della nuova razza che nel frattempo vi si era insediata.
Ma la memoria di quella breve intensa stagione di gloria, della vergine arciera e del re traditore, era destinata a non spegnersi mai.

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