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K.F.WOLFF SU "MATRIARCATO E PATRIARCATO"


Quando ho “scoperto” che tra i capitoli finali delle Dolomitensagen ve ne era anche uno intitolato “Matriarcato e patriarcato”, ho sperato che finalmente Wolff avesse raccontato qualcosa di più su come avesse introdotto e trattato questo argomento nella saga dei Fanes. Purtroppo si tratta solo di un’introduzione ai concetti antropologici, per di più rivolta ai profani dell’argomento e dunque piuttosto ingenua, semplicistica – e datata. Manca poi totalmente qualsiasi riferimento agli aspetti religiosi della faccenda, ed all’interrelazione del matriarcato con il totemismo. Fornisco qui solo un breve riassunto delle argomentazioni di Wolff, rimandando chi volesse approfondire la visione moderna dell’argomento ai numerosi testi in circolazione.

 

Wolff inizia menzionando J.J.Bachofen, il giurista svizzero che pubblicò un trattato sull’argomento nel 1861: Il diritto matriarcale. Indagine sul carattere religioso e giuridico del matriarcato nel mondo antico.
Egli esamina poi le condizioni di vita nel Paleolitico, affermando che gli uomini erano cacciatori e le donne raccoglitrici, e che furono queste ultime ad iniziare l’agricoltura “forse per amore dei bei fiori” (!). Sviluppa poi il concetto affermando che la lunga pratica con le piante consentì alle donne di apprendere i concetti base della vita vegetale e quindi di sfruttarla piantando degli orticelli accanto alle capanne del villaggio. Questo naturalmente presupponeva che un villaggio ci fosse, ossia che si fosse raggiunto almeno un certo grado di sedentarietà. La disponibilità di una produzione agricola abbastanza regolare consentiva di ovviare ai periodi di carenza di selvaggina, e quindi contribuiva non poco al benessere generale. Questa rudimentale forma di orticoltura prese grande sviluppo con l’invenzione della zappa e con la comprensione dell’importanza di qualche forma di irrigazione.
Pian piano, l’importanza degli orti divenne prevalente su quella della caccia e pesca, e gli orti – gestiti dalle donne – divennero il fulcro della vita economica. Ne conseguì che anche le case, strettamente legate agli orti, rimasero di proprietà delle donne, e dunque un aspirante marito era costretto a trasferirsi a casa della futura moglie. La struttura si ripeteva anche ai vertici della società: il capo indiscusso era la regina, il marito della quale era soltanto un principe consorte.
Fu probabilmente a questo punto che gli uomini cominciarono ad attirare alcuni animali selvatici in recinti vicino alle case e disponendo di un surplus di vegetali, ad alimentarli quando era necessario. Nacque così l’allevamento: prime pecore e capre, poi maiali, infine i bovini.
Secondo Wolff, quel che portò alla rottura di questo schema fu l’invenzione dell’aratro. Addomesticando i buoi e mettendoli a tirare l’aratro, si potevano coltivare appezzamenti di terra molto più grandi, anche se questa forma di agricoltura aveva una resa per unità di superficie molto inferiore a quella dell’orticoltura intensiva. E questa forma di coltivazione era e rimase in mano ali uomini. Gli aratori continuarono ad espandere i loro campi finchè non si crearono dei litigi per il possesso della terra, sia all’interno di ciascun singolo villaggio, sia con i villaggi vicini. Ne nacque la guerra. Dal punto di vista sociale, questo portò ad un ribaltamento della situazione: ora erano gli uomini il pilastro dell’economia e della sussistenza stessa del gruppo, pertanto il potere passò nelle loro mani, spesso in modo piuttosto brusco.
D’ora in avanti, il novello sposo non si recò più a vivere nella casa della consorte, anzi spesso la rapì (più o meno consensualmente) per portarla a vivere nella sua, fino al punto che la moglie stessa fu considerata una proprietà del marito; e anche sul piano globale, il re superò presto in importanza la regina e venne considerato la prima ed indiscussa autorità.
Tracce di questo antico ordinamento matriarcale si possono trovare persino in alcune società odierne, come pure in molte leggende delle Dolomiti, tra cui il “Regno dei Fanes”.