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Laboratorio - Portatori di scudo

Mi era venuto l'uzzolo di verificare se, negli eserciti antichi, vi siano stati altri casi, oltre ad Ey-de-Net e Dolasilla, di arcieri che combattevano in team con un portatore di scudo a loro difesa. A questo proposito, avevo pubblicato nel 2007 una prima versione di questo “Laboratorio” in cui concludevo che l’idea di proteggere Dolasilla con uno scudiero doveva essere venuta autonomamente al re dei Fanes, a meno che non fosse a conoscenza dei metodi di combattimento degli Assiri. Mi sono giunti poi due contributi, uno di Alessandro Manfroi, che tra le sue svariate capacità ha anche quella di essere un arciere egli stesso, ed uno di Davide Ermacora, che mi ha segnalato il “duo guerriero” dei micenei, che io ignoravo totalmente.

 

In effetti, mi sembrava che il solo popolo dell'antichità abituato a combattere in quel modo fossero gli Assiri. Vedi il dettaglio a destra, raffigurante una squadriglia combattente e datato a circa l'884 A.C. (oggi al British Museum). Nel caso raffigurato abbiamo due arcieri ed un portatore di scudo, che sorreggeva l'enorme struttura, probabilmente di legno, (anche se è stato suggerito da John R. Edgerton, tramite A. Manfroi, che potesse trattarsi di canne, e quindi molto più leggera) appoggiata al suolo e dotata anche di un riparo superiore. Sembra che il portatore usi la mano sinistra per lo scudo, e nella destra impugni un'arma da taglio, forse corta; oppure si tratta di una seconda impugnatura che gli permette di ruotare l'ambaradam. Egli ha una calotta identica a quella degli arcieri, ma ha un gonnellino corto anzichè lungo fino ai piedi, e probabilmente porta corazza e schinieri, mentre gli arcieri sembrano combattere a torso nudo. Si notino le faretre di questi ultimi, portate a bandoliera, e le spade alla cintura, forse in un fodero. Infine, mentre un arciere ed il portatore di scudo portano il classico barbone, l'arciere in primo piano è imberbe. Differenza di età, o di nazionalità, o soltanto moda?
In un primo tempo, avevo supposto che quel che si vede dalla parte opposta dello scudo potesse essere una fiammata, o un'esplosione. Sempre John R. Edgerton ci ha procurato l’immagine completa (qui in basso), dove si vede bene che si tratta di una pianta, e non di un’esplosione. Si nota anche un altro dettaglio importante: nell’angolo superiore sinistro c’è un altro arciere, presumibilmente nemico ed in atto di scagliare frecce dall’alto di un muro
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La scena non sarebbe pertanto relativa ad una battaglia in campo aperto, bensì ad un assedio. Questo, se da una parte rende più razionale l’impiego di una struttura difensiva così poco mobile, dall’altra diminuisce anche il suo valore di confronto con la coppia Dolasilla – Ey-de-Net.

Squadriglie di questo tipo potevano essere composte anche da un arciere, un portatore ed un uomo armato di spada; oppure anche da due soli uomini, un arciere ed il portatore.

 

Abbiamo poi la raffigurazione di un pesante carro da guerra assiro (per cortesia del sig. Bede, di Sydney, Australia) dove sono montate quattro persone: due arcieri, e due portatori di scudo. Questi ultimi imbracciano però degli scudi rotondi, analoghi a quelli utilizzati dalla fanteria.


Questo tipo di combattimento a squadre non mi risulta essere stato praticato da altri popoli, con l'eccezione delle squadriglie montate sui carri. Quella che vediamo qui a sinistra è la raffigurazione egiziana di un carro ittita. Abbiamo un auriga e presumibilmente un guerriero, anche se la schematicità del disegno non ci consente di capire come sia armato; in più vi è il portatore di scudo, che utilizza però un oggetto molto più piccolo ed agile di quello mastodontico dell'unità pedestre assira.

Nella descrizione omerica della guerra di Troia, sembra invece che l'equipaggio dei carri fosse costituito da due sole persone, l'auriga e l'eroe, armato di tutto punto. Ma i greci, con l’importante eccezione che dirò poi, (potrei forse generalizzare e dire gli europei?) non sembrano concepire un combattimento a squadriglie. Gli eroi combattono da soli, e la massa tutta insieme. Non sembra che gli arcieri abbiano mai occupato un posto di rilievo negli eserciti greci, nè balcanici, nè italici, nè celtici; meno ancora che alcuno di questi abbia sentito il bisogno di assegnare ad un uomo lo specifico compito di proteggere un arciere. La falange macedone (ancora di là da venire) utilizzerà più tardi dei "portatori di scudo" per proteggersi il fianco destro relativamente scoperto, ma in condizioni tattiche completamente diverse.

Tuttavia Davide Ermacora mi ha segnalato l’importante eccezione cui facevo riferimento. Si tratta del duo guerriero miceneo, costituito da un arciere e da un fante pesantemente armato. Purtroppo, la ricca bibliografia segnalata da Davide non è di facile reperibilità, a meno che uno non disponga di una biblioteca universitaria specializzata. Tuttavia qualcosa ho trovato, e qualcosa me lo ha gentilmente trasmesso il medesimo Davide. Analizziamo meglio dunque, in primo luogo, quel che accade nella stessa guerra di Troia.

Nell’Iliade vengono menzionati solo tre eroi arcieri greci: Filottete, Merione e Teucro (vi sono poi i Locresi [si tratta ovviamenti degli abitanti della Locride greca, un’antica regione della Beozia, e non della Locride in Calabria. Locri Epizefiri fu fondata (come colonia dei Locresi) solo nell’VIII-VII secolo A.C.], cui sia accenna nel canto XIII affermando che stiano “saettando e frombolando”). Ulisse, che nell’Odissea viene descritto come un arciere eccezionale, nell’Iliade sembra essersi dimenticato l’arco a casa (in effetti, ce lo ritroverà, - nell’altro poema - al momento di sterminare i Proci).
Filottete, della Magnesia, che ha la fortuna di possedere l’arco che era stato di Eracle, comanda un reparto di ben cinquanta arcieri, ma per quasi tutta la guerra rimane lontano a causa di una ferita.
Merione, di Creta, che vince la gara dell’arco nei giochi per la morte di Patroclo, durante i combattimenti usa però armi convenzionali, spada e lancia.
Teucro, fratello di Aiace Telamonio, di Salamina, guerreggia invece con l’arco e con esso uccide numerosi troiani. Il suo stile di combattimento, che lo rende particolarmente interessante alla luce della leggenda dei Fanes, è quello di proteggersi dietro il grande scudo del fratello, uscire allo scoperto per scoccare, e subito ritornare al riparo, “come un bambino dalla mamma”. La possibile analogia con la coppia Dolasilla – Ey-de-Net è evidente.
Di più, lo scudo di Aiace, alto dal mento alle caviglie, di forma “a torre” e grande abbastanza da riparare anche il fratello, è composto da sette strati di pelle di bue, coperti da una lamina di bronzo, ed è così pesante che l’eroe – il più possente dei guerrieri greci - lo utilizza appendendoselo ad una spalla con una cinghia, ed anche così a volte deve essere aiutato dai compagni. Anche qui, il paragone con lo scudo di bronzo di Ey-de-Net, “così pesante che solo lui lo poteva portare”, torna spontaneo.

Numerosi indizi (anche lessicali) lasciano pensare che la figura di Aiace nell’Iliade rappresenti un arcaismo: ha un elmo con guanciali e lo scudo a torre, non porta corazza, ed usa un’immensa lancia come sola arma di offesa. E’ l’unico eroe ad utilizzare quel tipo di armi e quel modo di combattere, tipico non dei tempi della guerra di Troia, ma del XVI-XV secolo A.C.! Dunque potrebbe rifarsi ad un archetipo proprio di poemi epici di epoca micenea, ossia addirittura precedenti alla stesura canonica dell’Iliade. Così conclude il prof. Alessandro Greco, il massimo studioso italiano della cultura micenea, il quale si spinge a definire l’accoppiata arciere-oplita (=fante pesantemente armato) come “il classico duo guerriero miceneo”; mi aspetto di riuscire a leggere di più e meglio dei suoi lavori in un prossimo futuro.
Vedi nell’immagine qui sotto, tratta da un’incisione su una coppa d’argento trovata a Micene in una tomba del XV secolo A.C., un combattimento con scudo a torre e lancia, con la presenza di arcieri.

Si noti come i guerrieri a destra usino lo scudo “a torre” e quelli a sinistra uno scudo “a otto”, ma tutti impieghino esclusivamente la lancia come arma di offesa. Entrambi gli schieramenti combattono senza altre protezioni salvo l’elmo, di varie tipologie ma uguali da ambo le parti, e non sono in “nudità eroica”, ma protetti da un gonnellino. Il terzo guerriero da sinistra mostra chiaramente come venisse impiegato il gigantesco scudo a figura intera: a coprire le spalle, appeso ad una bandoliera a tracolla, lasciando entrambe le mani libere per il maneggio della lancia. E’ chiaro che lo stile di combattimento doveva essere molto particolare. Vi sono poi gli arcieri, uno per parte, protetti dal solo elmo come gli opliti, ma ovviamente privi di scudo. I loro archi presentano una doppia curva, appena accennata, e potrebbero quindi essere di tipo composito (l’epoca lo consentirebbe).
Ancora da segnalare il quarto guerriero da destra, privo di scudo e di arco, ma munito di lancia, che sembra montare sulla schiena di un compagno (per darsi maggior slancio nel manovrare l’asta?). Poteva forse trattarsi di un escamotage particolare, probabilmente utilizzato in un episodio specifico ed oggetto di una narrazione epica ben nota, cui la scena incisa sulla coppa faceva riferimento.
Va comunque ribadito che la coppia arciere – portatore di scudo non sembra essere stata una struttura tipica di nessun esercito post-miceneo: nell’Iliade quello di Aiace e Teucro è l’unico esempio, e non se ne conoscono altri nemmeno in seguito.

Sembra dunque lecito proporre l’ipotesi che chi dettagliò la leggenda dei Fanes conoscesse, se non il racconto omerico, almeno quelli precedenti, su cui l’Iliade dovette basarsi. Per il momento, tuttavia, non è il caso di azzardarsi a trarre delle conclusioni: si tratta in ogni caso di un filone d’indagine del tutto nuovo e che può portare ad interessanti sviluppi.

Allego la bibliografia cortesemente fornita dal prof. Greco, tramite D.Ermacora (l’ultimo titolo è l’unico che finora ho potuto leggere):

1.A. Greco, "Aiace Telamonio e Teucro. Le tecniche di combattimento nella Grecia Micenea dell'epoca delle tombe a fossa, In OMERO tremila anni dopo, Atti del Congresso di Genova (6-8 luglio 2000), a cura di F. Montanari con la collaborazione di P. Ascheri, Roma 2002, pp. 561-578.
2. A. Greco, "La Grecia tra il Bronzo Medio e il Bronzo Tardo: l'armamento di Aiace e il duo guerriero" in "Tra Oriente e Occidente", studi in Onore di E. Di Filippo Balestrazzi, Padova 2006, pp. 265-289.
3. A. Greco - M. Cultraro "When Tradition Goes Arm in Arm with Innovation: Some Reflections on the Mycenaean Warfare", in ARMS AND ARMOUR THROUGH THE AGES (from the Bronze Age to Late Antiquity), ANODOS, Studies of the Ancient World, 4-5, 2004-2005 (2007), pp. 45-60.
4. A. Greco, "La Tomba di Aiace" in "Eroi eroismi eroizzazioni", Atti del convegno di Padova (18 e 19 settembre 2006), S.A.R.G.O.N. 2007, pp. 102-112.
5. Hiller S., Scenes of warfare and combat in the art of Aegean Late Bronze Age. Reflections on typology and development, In Polemos, Le contexte guerrier en Egee a l'age du bronze, Actes de la 7° Rencontre
Egeenne int. Univ. Liege, AEGAEUM 19, 1999, pp. 319-330.
6. J. Bennet, Homer and the Bronze Age, In: A new companion to Homer, I.MORRIS-B. POWELL eds, Leiden-New York Koln, 1997, pp. 511-534.
7. Morris I., Homer and the Iron Age, In: A new companion to Homer, I.MORRIS-B. POWELL eds, Leiden-New York Koln, 1997, pp. 535 e ss.
8. A. Greco, 2006: Aiace, eroe frainteso. In: Eroi, eroismi, eroizzazioni dalla grecia antica a Padova e Venezia – Atti del Convegno internazionale di Padova, 18-19 settembre 2006: 101-112

Aggiungo un testo che ho trovato sul web:

M.P.Nappi, 2002: Note sull’uso di 'Ajante' nell’Iliade, Rivista di cultura classica e medievale, Anno XIV, N.2

Nota sulle armi di Dolasilla

Alessandro Manfroi, parlando dell’arco di Dolasilla, propone che l’arco “magico” o “d'argento” sia in realtà un arco composito, importato dall’Asia dai “nani” e finito casualmente nelle mani dell’arciera dei Fanes. Questa spiegazione, che potrebbe benissimo render conto delle qualità particolari dell’arco, non è né illogica né assurda, anche se un tantino improbabile e forse non necessaria. Alessandro fa anche notare che le frecce, se dotate di punte di metallo, sarebbero state non solo dotate di maggior forza di penetrazione, ma anche, per il solo fatto di aver spostato il baricentro verso la punta, di maggior gittata e miglior precisione.